di Paolo Grillo
Molti tra i più giovani nostri lettori forse non lo ricorderanno: a metà degli anni ’90 Filippo Mancuso fu, per soli nove mesi, Ministro della Giustizia. Gli si diede il benservito con una mozione di sfiducia “ad personam”, caso più unico che raro nella storia del nostro Paese. Era un ex magistrato molto attento alle forme – troppo, secondo alcuni – e aveva in uggia la spettacolarizzazione del processo penale. Montanelli, come soltanto lui sapeva fare, ne tracciò un ritratto tagliente nel suo volume “L’Italia di Berlusconi”: “divertimento erratico, processo parapenale di fatto” tuonava Mancuso, e scagliava i suoi strali contro una trasmissione televisiva che aveva rievocato un caso di omicidio irrisolto. Eravamo nel 1991. Oggi la situazione, sotto questo profilo, si è normalizzata collocandosi su un livello ben diverso. Esistono show televisivi quasi interamente dedicati alla trattazione di vicende giudiziarie, definite o in corso di svolgimento. Il format conosce qualche variazione sul tema, ma più o meno è costante: c’è l’opinionista, l’esperto, il criminologo di turno, il tuttologo, l’inviato speciale, eccetera. Si interpretano daccapo gli elementi investigativi – poco importa se su quel processo s’è consolidata una sentenza irrevocabile – se ne danno ulteriori letture, in qualche caso si intervistano anche i protagonisti. Soltanto chi possiede almeno un’infarinatura giuridica può raccapezzarsi consapevolmente per distinguere informazione e disinformazione. L’influenza esercitata sul pubblico è notevolissima: provate a chiedere cosa ne pensa lo spettatore digiuno di nozioni tecnico-giuridiche su una determinata vicenda giudiziaria: ognuno avrà individuato colpevoli e innocenti e possibilmente lo avrà fatto sulla scia emotiva della immagine televisiva posseduta da chi in quella vicenda è coinvolto. Siamo nell’insidiosa terra di mezzo in cui confinano almeno tre interessi contrapposti; da una prima parte il diritto a esercitare la cronaca giudiziaria o, in termini più generali, a esprimere liberamente il pensiero narrando fatti e avvenimenti o interpretandoli. Dall’altra parte la legittima pretesa a non vedere la propria immagine storpiata dalle ricostruzioni televisive che, in alcuni casi, vanno oltre gli accertamenti processuali. Inserito come un cuneo tra questi due opposti versanti non bisogna dimenticare l’interesse più generale dell’autorità giudiziaria a non risentire negativamente della trattazione televisiva di un’indagine, specialmente se questa è ancora in corso. Bilanciare due interessi contrapposti è difficile, equilibrarne tre, forse, è impossibile. Quale prevarrà tra i contendenti? A voi la risposta.