di Gabriella Caradonna
Abstract
Doubts of constitutionality on art. 438 c. 1-bis of the italian criminal procedural code, in the part in which it prevents access to the shortened trial for the partially mentally ill defendants of crimes punishable by life imprisonment. The word now passes to the Constitutional Court.
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Con ordinanza 223 allegata al verbale del 17 novembre 2021, la Corte di assise di Bologna ha promosso la questione della compatibilità costituzionale del comma 1-bis dell’art. 438 c.p.p., inserito dall’art. 1 c. 1 lett. a) l. 12 aprile 2019, n. 33, che in tema di giudizio abbreviato esclude l’ammissibilità di tale rito alternativo nel caso in cui si proceda “per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo”. In particolare la corte rimettente ha lamentato la natura incostituzionale della citata disposizione processuale, nella parte in cui non consente l’accesso al giudizio abbreviato al semi infermo di mente imputato di un reato particolarmente grave – per cui è comminata, per l’appunto, la pena privativa massima della libertà – la cui condizione mentale sia stata accertata con apposita perizia svolta in sede di incidente probatorio. Da tale lacuna deriverebbe una sperequazione in termini di risposta sanzionatoria rispetto al soggetto semi imputabile minore degli anni diciotto ex art. 98 c.p., nei confronti del quale, a fare data dalla pronuncia della Consulta del 27-28 aprile 1994, n. 168, il trattamento punitivo ordinamentale non può mai consistere nell’ergastolo. Ad essere invocati dal giudice rimettente quali parametri di legittimità costituzionale sono stati gli art. 3 (principio di eguaglianza), 27 c. 3 (principio della rieducazione della pena) e 32 (diritto alla salute) della nostra Carta costituzionale. In dettaglio, la corte rimettente dubita che la norma investita della questione di legittimità costituzionale rispetti il principio di eguaglianza poiché riserverebbe un trattamento processuale diverso a due categorie di soggetti – i semi imputabili maggiorenni e i semi imputabili minori degli anni diciotto – che per ragioni sostanziali dovrebbero essere completamente assimilate. Perseverando nel medesimo approccio comparativo, la Corte di assise di Bologna ritiene che la norma entri pure in rotta di collisone anche con il principio della rieducazione della pena in quanto, affinché il semi infermo comprenda la portata effettiva della propria condotta, si renderebbe necessaria una incisiva diversificazione del sistema punitivo-rieducativo nei suoi confronti, nonché con il diritto alla salute, la cui attuazione non può che passare anche attraverso la messa a disposizione delle opportune cure trattamentali.
La questione processuale merita un rinnovato interesse anche per la sua attitudine ad intercettare un tema già affrontato sulle pagine di questa rivista, ovverosia quello della necessaria individualizzazione della pena con riguardo al soggetto semi imputabile perché affetto da vizio parziale di mente, nella più salda convinzione che l’attività interpretativa, ove svolta in modo eccessivamente rigido, corra il rischio di condurre a risultati insoddisfacenti sul piano concreto e di non aderire a quelle istanze di giustizia sostanziale e di coerenza interna immanenti in ogni sistema penale che si proclami di diritto. In termini fattuali, si contestava all’imputato il delitto di omicidio aggravato dall’avere commesso il fatto ai danni dell’ascendente, ai sensi dell’art. 577 c. 1 n. 1 c.p., ed essendo prevista per il reato circostanziato la pena dell’ergastolo in luogo di quella della reclusione non inferiore ad anni ventuno – comminata, invece, per la fattispecie semplice di cui all’art. 575 c.p. – il giudice per le indagini preliminari dichiarava inammissibile ex art. 438 c. 1-bis c.p.p. la richiesta formalizzata dai procuratori speciali dell’imputato di procedere nelle forme del rito abbreviato, nonostante con perizia psichiatrica fosse stata accertata una infermità mentale dello stesso contraddistinta da gravi manifestazioni psicotiche. È proprio in tale substrato processuale che germina il dubbio circa la costituzionalità della norma supra richiamata con riferimento ai parametri invocati.
Con l’introduzione del comma 1-bis in seno all’art. 438 c.p.p. e senza prevedere alcuna norma di coordinamento e/o modifica delle disposizioni già vigenti, il legislatore della legge 33/2019 avrebbe di fatto determinato un sistema asimmetrico delle conseguenze sanzionatorie tra il reo infra diciottenne e il reo semi infermo di mente, consentendo solo al primo e non anche al secondo di godere della diminuente processuale legata alla scelta del rito alternativo in caso di condanna per un reato punito con la pena massima prevista dal nostro ordinamento (l’ergastolo), e ciò nonostante la condizione patologica di infermità mentale del reo maggiorenne sia stata accertata con un’apposita perizia disposta in sede di incidente probatorio. È proprio tale ultima condizione, nelle considerazioni della corte rimettente, l’elemento fattuale che vale ad equiparare in via definitiva la condizione soggettiva dell’infermo di mente a quella del minore degli anni diciotto, per cui attraverso l’accertamento medico verrebbe superato “l’unico elemento di differenziazione, processuale, e non sostanziale, tra la «ridotta rimproverabilità» (secondo la definizione più volte richiamata della Corte costituzionale) per età, presunta per legge, e quella per infermità di mente”, quest’ultima affermabile all’esito di un giudizio individualizzato svolto da un esperto e di seguito cristallizzato nel processo con una perizia. La questione viene posta fuori da qualsiasi valutazione di carattere politico circa l’opportunità di escludere dall’accesso al rito abbreviato i reati per i quali l’integrazione di una circostanza aggravante comporti l’astratta irrogazione della pena dell’ergastolo – valutazione che dalla stessa corte rimettente è considerata legittima e non irragionevole – e si giustifica solo sulla scorta della identità di ratio tra la circostanza attenuante di cui all’art. 89 c.p. (Vizio parziale di mente) e quella di cui al successivo art. 98 c.p. (Minore degli anni diciotto) che, eccezion fatta per la norma processuale censurata, comporta una piena assimilazione sul piano sanzionatorio tra i due tipi di semi imputabili. È, tra le altre, espressione di tale segno la scelta del legislatore del 2019 di escludere, con riguardo al reato di omicidio, il divieto di prevalenza nel giudizio di bilanciamento sia della attenuante del vizio parziale di mente, sia di quella del minore degli anni diciotto (art. 577 c. 3 c.p., novellato dalla l. 19 luglio 2019, n. 69), dovendosi considerare la semi imputabilità per età ovvero per infermità psichica contraddistinte dallo stesso minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e dalla medesima minorata capacità di controllo dei propri impulsi in ragione delle patologie che lo affliggono, nel caso del semi infermo, e di un percorso di crescita personale non ancora pienamente maturato, in quello del semi imputabile infra diciottenne.
I confini della questione costituzionale così tracciati dall’ordinanza di rimessione potrebbero essere estesi ad altre questioni parallele e fare dubitare della legittimità dell’art. 438 c. 1-bis c.p.p. con riguardo a quelle situazioni, diverse dal vizio parziale di mente, in cui pure sussista una causa idonea ad escludere o a limitare la capacità di intendere e di volere del soggetto agente. La norma perpetuerebbe in pratica un regime sanzionatorio diversificato ed ingiustificato, a parità di disvalore soggettivo e di ridotta rimproverabilità, nella parte in cui non prevede un regime eccettuale che consenta anche ai semi imputabili differenti dai rei minorenni di definire la propria posizione processuale nelle forme del rito abbreviato in caso di delitti puniti con l’ergastolo. Si pensi alla condizione di ubriachezza e di intossicazione da stupefacenti accidentale, ovverosia determinata da un fattore del tutto imprevedibile o da una forza esterna invincibile (art. 92 e 93 c.p.) o anche al soggetto semi imputabile per sordomutismo il quale, ai sensi dell’art. 96 c.p., abbia agito in una condizione personale gravemente alterata dalla sua disabilità. In questa prospettiva, le argomentazioni addotte dalla Corte di assise di Bologna nel proprio atto propositivo devono opportunamente considerarsi sintoniche rispetto ai più recenti studi scientifici, concordi nel ritenere che la condizione del minore semi imputabile è assimilabile a quella dell’adulto affetto da una infermità di mente che ne abbia compromesso grandemente la pienezza mentale al momento della commissione del fatto illecito; in entrambe le situazioni, infatti, è del tutto peculiare non solo il fine riabilitativo, ma pure la personalità dell’agente “intesa in tutti i riflessi soggettivi di coscienza, volontà, spinte emotive e freni inibitori, struttura esperenziale, consolidamento dei principi morali e il comportamento” che, nel caso del minore, non sono ancora pienamente sviluppate, mentre in quello dell’infermo di mente sono anche solo momentaneamente ridotte o annullate dalla condizione patologica in cui versa.
A questo punto una eventuale pronuncia additiva della Consulta sulla questione sollevata dai giudici felsinei contribuirebbe senz’altro a creare una omogeneità normativa tra due situazioni che già da lungo tempo la stessa Corte costituzione assimila a vari fini processualpenalistici a parità di disvalore soggettivo, di ridotta rimproverabilità e di peculiare atteggiarsi del diritto alla salute (ex multis v. C. cost. sent. n. 367 del 2004; id. n. 253 del 2003; id. n. 73 del 2003). Sul piano processuale ridefinirebbe, poi, i confini oggettivi del rito abbreviato, contribuendo a potenziarne l’impiego nelle strategie difensive, oltre che a svilupparne ulteriormente la vocazione di strumento di economia processuale destinato a defatigare i ruoli già saturi dei giudici nazionali.