Il presente contributo è teso ad analizzare la problematica, non certo meramente astratta, ma piuttosto concreta, relativa all’esecuzione della misura di cui all’art. 282 c.p.p., dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria
ai tempi del COVID-19 ed il possibile contrasto tra le esigenze di tutela criminale e quelle di tutela della salute pubblica.
Ed infatti, come è noto, la norma prevede che “con il provvedimento che dispone l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, il giudice prescrive all’imputato di presentarsi ad un determinato ufficio di Polizia giudiziaria”, individuando anche i giorni e le ore di presentazione.
Orbene, seppure tale misura risulti essere, tra quelle coercitive, quella meno afflittiva dal punto di vista della limitazione della libertà personale, nondimeno, in un periodo di emergenza sanitaria quale quello che ha colpito il nostro paese a far data dallo scorso marzo 2020, appare immediatamente evidente la sua improvvisa criticità.
Ed infatti, il doversi recare giornalmente o più volte a settimana presso l’ufficio di PG indicato nel provvedimento applicativo per ottemperare al proprio obbligo, espone non solo l’indagato/imputato, ma tutto il proprio nucleo familiare o entourage lavorativo ad un eventuale rischio di contagio.
Sul punto, già un anno fa, la Procura Generale presso la Corte di Cassazione, con nota del 1.04.2020, evidenziava che
“attenzione va riservata alla misura non custodiale dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria che, imponendo il raggiungimento da parte del sottoposto degli uffici di polizia, si pone in netto contrasto con gli stringenti limiti alla circolazione previsti dalla normazione emergenziale. Pur trattandosi di misura gradata, la sua esecuzione si risolve, infatti in un incremento di contatti non solo per il sottoposto (ed eventualmente per coloro in cui si imbatte nel tragitto) ma anche e soprattutto per gli operatori di PG che si trovano negli uffici, che pure scontano gli effetti del contingentamento del personale e delle esigenze di distanziamento”.
Non può certamente negarsi, come tale nota mostri, in tutta la sua problematicità, il rapporto antitetico tra tale misura e le esigenze di tutela della salute pubblica e del singolo che hanno imposto, sin dalla scorsa primavera, un obbligo generalizzato di “non allontanarsi da casa”.
Ed allora, è palese la contraddizione in termini tra l’obbligo di presentazione alla P.G. da un lato, e l’obbligo di non uscire dalle proprie abitazioni, dall’altro, così come disposto dalla normativa “anti-covid”, a partire dal D.L. 18/2020.
Ed infatti, il c.d. obbligo di firma, imponendo il raggiungimento degli uffici di polizia da parte del sottoposto, si pone in contrasto con i limiti più o meno stringenti alla circolazione previsti dalla normazione emergenziale; a maggior ragione, poi, se si considera che, fino a questo preciso momento storico, a causa dell’esponenziale aumento dei contagi, sono stati imposti ulteriori limiti restrittivi a tutela della salute pubblica (che hanno previsto, a livello locale, “colori” diversi).
Sebbene non sia dato rinvenire, allo stato attuale, sentenze di legittimità sul punto, tuttavia, non sono mancate pronunce di merito che si sono spinte in questa direzione.
Ed invero, il GIP di Locri, accogliendo un’istanza di revoca della misura dell’obbligo di presentazione alla PG, ha motivato nel senso che, trattandosi per l’appunto di un obbligo (quello di presentazione alla PG), la misura si pone in manifesto contrasto con la ratio dei limiti normativi alla circolazione delle persone previsti dalle disposizioni per il contenimento del contagio da virus COVID-19
“che non è dato sapere se e in che misura saranno prorogate nel tempo”
Analogamente il GIP di Cosenza, nello stesso periodo, ha revocato per un indagato la misura coercitiva dell’obbligo di presentazione alla PG, atteso che il doversi recare quotidianamente presso la Stazione dei Carabinieri per ottemperare alle prescrizioni della misura in atto applicata lo esponeva al pericolo di contagio.
Nello stesso senso, e facendo un ulteriore passo avanti, anche il Tribunale di Messina, ha revocato la medesima misura ad un’indagata, ponendo in evidenza l’antitesi che, in un caso come quello di specie, si determina tra due valori che hanno entrambi garanzia costituzionale: ossia, da un lato, le esigenze cautelari sottese alla legittima emanazione di una misura quale quella in discorso, individuate dall’art. 13 Cost. e, dall’altra, l’imprescindibile esigenza di tutela della salute della persona, riconosciuta dall’art. 32 Cost. (Trib. Messina, dott. Monforte, Ordinanza del 23.03.2020).
Paradossalmente, sebbene la misura dell’obbligo di presentazione alla PG, come già detto, può essere definita quale quella meno invasiva e dal più scarso impatto sulla libertà della persona, tuttavia, il Tribunale di merito ha efficacemente apprezzato, in una condivisibile argomentazione, le refluenze pratiche della sua messa in esecuzione in uno con la contingente emergenza derivante dalla diffusione del virus COVID-19. In questo senso, si è posto in risalto come dalla sottoposizione a tale misura, invero, possa derivare un concreto pericolo di contagio.
Il ragionamento operato nasce dal contemperamento di interessi sicuramente configgenti e sicuramente entrambi di grande risalto. Nondimeno, le conclusioni cui è giunto tale accorto giudicante sono fondate sul presupposto del prevalente interesse riconosciuto alla salute della persona rispetto a quello della difesa sociale contro il crimine, da garantire attraverso l’applicazione di misure atte a tutelare specifiche esigenze cautelari.
D’altronde, appare evidente come il diritto da tutelare appaia non già e non soltanto quello del singolo ai fini della esecuzione della misura, ma soprattutto dell’intera comunità.
Sulla scorta di quanto detto, pertanto, correttamente la Procura Generale aveva già, più di un anno fa, espresso validi dubbi circa l’applicazione di tale misura cautelare, ed aveva auspicato che si potesse agire nel senso di una non applicazione, in tale periodo, dell’obbligo di presentazione, privilegiando l’obbligo di dimora e revocando le misure già in corso di esecuzione.
In definitiva, a ben ragionare, si può notare come lo stesso obbligo “di non allontanarsi dalla propria abitazione”, imposto dalla normativa emergenziale ben potrebbe, da un punto di vista pratico, “compensare” la revoca di tale misura, senza fare venir meno le esigenze di tutela criminale che lo Stato deve garantire, così venendo di fatto raggiunto non solo tale scopo (cautelare), ma anche la tutela del diritto alla salute che rappresenta, in effetti, la ratio ispiratrice.
Laura Piras