di Ciro Cardinale
Rivista penale italiana – ISSN 2785-650X
Abstract
The probation of the entities in the light of italian jurisprudence.
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Con una recente ordinanza ([1]) il Tribunale di Bari ha disposto la sospensione del procedimento penale a carico di una società a responsabilità limitata unipersonale, tratta a giudizio per illeciti amministrativi dipendenti da reato, e la sua conseguente messa alla prova. La decisione offre lo spunto per l’esame della giurisprudenza – finora solo di merito – in materia, che non ha ancora offerto soluzioni univoche al quesito se la messa alla prova possa applicarsi o meno anche agli enti responsabili di illeciti amministrativi dipendenti da reato ex d. l.vo 8 giugno 2001, n. 231 ([2]).
Il fatto. Una srl unipersonale è stata citata in giudizio dal PM, insieme ad un’altra società ed alcune persone fisiche, davanti al tribunale del capoluogo pugliese per rispondere dell’illecito amministrativo dipendente da reato di cui all’art. 25 septies d. l.vo 231 (Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro). In udienza il difensore della società ha chiesto al giudice la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’ente ed il tribunale, acquisito anche il consenso del PM, con l’ordinanza in argomento ha disposto “per una durata di sei mesi, la sospensione del procedimento con la messa alla prova dell’ente, da eseguirsi secondo le modalità e con l’osservanza delle prescrizioni stabilite nel programma di trattamento”, aderendo così a quel filone interpretativo giurisprudenziale di merito, finora solo minoritario, che ritiene applicabile l’istituto della messa alla prova anche nel procedimento di accertamento della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Com’è noto, la sospensione del processo penale con messa alla prova è una modalità alternativa di definizione del procedimento con la quale è possibile giungere ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato nel caso in cui la messa alla prova abbia dato esito positivo. Si tratta di un istituto regolato dagli art. 168 bis–quater c.p. e 464 bis-novies c.p.p., introdotti dalla l. 28 aprile 2014, n. 67 con la finalità di deflazionare il carico giudiziale, reinserire socialmente gli imputati di reati di minori in una logica premiale e ridurre il sovraffollamento delle carceri, sull’esempio della probation di origine anglo americana ([3]). Gli art. 62 e seg. del d. l.vo 231 non menzionano però tra i procedimenti speciali ammissibili nel corso del procedimento di accertamento della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato tale istituto, anche se i precedenti art. 34 e 35 considerano comunque applicabili a tale procedimento le disposizioni del codice di rito penale e di quelle relative all’imputato, in quanto compatibili. Si tratta quindi di stabilire se l’istituto in argomento sia o meno applicabile ad un ente incolpato di un illecito amministrativo dipendente da reato, trapiantando la messa alla prova nell’alveo del d. l.vo 231, allo scopo di ottenere l’estinzione dell’illecito amministrativo dipendente dal reato per l’ente colpevole, sulla base della considerazione che “i modelli adottati ex ante sono spesso giudicati inidonei, e quindi, inadeguati a neutralizzare il rischio di commissione degli illeciti” ([4]). Come detto, il tema è stato finora trattato solo dalla giurisprudenza di merito, con decisioni di contenuto opposto orientate nell’uno o nell’altro senso.
Il contrasto giurisprudenziale. Il Tribunale di Milano ([5]) è stato il primo giudice che ha ritenuto non applicabile agli enti la sospensione del procedimento con conseguente messa alla prova, in quanto ipotesi non prevista espressamente da alcuna norma di legge. Si potrebbe allora fare ricorso all’applicazione analogica delle norme sulla messa alla prova di cui ai codici penali, previa verifica di ammissibilità, in quanto tale istituto è riconducibile nell’alveo delle sanzioni penali per la sua natura sostanziale, oltre che processuale, come evidenziato pure dalle Sezioni unite penali ([6]). Ma, fatte queste premesse, i giudici meneghini hanno comunque escluso l’applicabilità della messa alla prova “ai casi non espressamente previsti, e quindi alle società imputate ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001”.
Dopo il Tribunale di Milano, è stata poi la volta di quello di Spoleto ([7]) negare l’applicabilità dell’istituto in argomento agli enti, sulla base di argomentazioni parzialmente differenti da quelle impiegate dai colleghi lombardi. In particolare, per i magistrati umbri l’applicazione analogica della messa alla prova anche agli enti non contrasterebbe in linea di massima con la tassatività della legge penale, essendo qui declinata in bonam partem, attribuendo così “ulteriori chanches difensive all’ente-imputato, che, tramite la volontaria sottoposizione a un programma trattamentale, ben potrebbe sottrarsi al giudizio ordinario e quindi alla eventuale applicazione di sanzioni”, ma ritenendola inattuabile in concreto perché ostacolata da “incertezze operative (…) non essendo chiari i requisiti oggettivi di ammissibilità, a differenza di quanto previsto per gli imputati persone fisiche”. Decidendo diversamente si andrebbe allora incontro ad “una indebita forma di creazione del diritto, potere che per ovvie ragioni esula da quelli istituzionalmente attribuiti a un organo giurisdizionale”. Tale decisione negativa, sempre secondo il tribunale umbro, sarebbe in ogni caso desumibile sia dalla scelta del legislatore di escludere espressamente tale istituto dai riti speciali contenuti nel d. l.vo 231, che dal principio di autonomia della responsabilità dell’ente da quella dell’autore del reato.
Anche il Gip presso il Tribunale di Bologna ([8]) ha ritenuto di accodarsi a questo filone “negazionista”, nonostante il parere contrario del PM, in quanto “il mancato coordinamento della legge n. 67 del 2014 con il testo della 231 del 2001 non è frutto di una mera dimenticanza del legislatore, ma è da considerare voluto”. I giudici felsinei hanno però negato la qualifica di sanzione penale attribuita dai colleghi meneghini e dalle Sezioni unite alla prestazione di pubblica utilità, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale costituzionale per il quale il trattamento programmato non è “una sanzione penale, eseguibile coattivamente, ma dà luogo a un’attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell’imputato, il quale liberamente può farla cessare con l’unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso” ([9]).
Ha rigettato l’istanza di ammissione alla messa alla prova dell’ente pure il Tribunale di Modena ([10]). L’ammissibilità dell’istituto sarebbe subordinata “al possesso di un imprescindibile pre-requisito da parte della società, ovvero l’essersi dotata, prima del fatto, di un modello organizzativo valutato inidoneo dal giudice”; solo in questo caso, per tale giudice, “sarebbe possibile formulare un giudizio positivo in ordine alla futura rieducazione dell’ente”.
Tale ultima decisione è in contrasto con due precedenti pronunce del Gip dello stesso Tribunale di Modena ([11]), che aveva ritenuto invece di concedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova dell’ente “in quanto nessuna significativa differenza dovrebbe a rigore intercorrere tra il programma di trattamento confezionato per la persona fisica e quello confezionato per persona giuridica. In entrambe le situazioni, infatti, il graduale reinserimento del reo passerà dall’eliminazione degli effetti pregiudizievoli dell’illecito, dal risarcimento del danno ove possibile, dall’integrazione del modello organizzativo e dalla esecuzione di un lavoro di pubblica utilità” ([12]), equiparando quindi i due “tipi” di imputati circa i benefici ad essi concedibili.
La decisione del Tribunale di Bari. È su questo contrasto giurisprudenziale, che vede i tribunali prevalentemente orientati a negare la messa alla prova agli enti, che si innesta adesso l’ordinanza dei giudici pugliesi, che hanno scelto di aderire alla tesi dell’ammissibilità della messa alla prova dell’ente, non riscontrando alcuna “violazione dei principi di tassatività e di riserva della legge penale”, dal momento che “il divieto di analogia della legge penale opera soltanto quando genera effetti sfavorevoli per l’imputato (…). Ciò non accade nel caso di specie, giacché (…) la legittimazione dell’ente a presentare richiesta di messa alla prova determinerebbe un ampliamento del ventaglio di procedimenti speciali nella sua disponibilità, consentendogli una migliore definizione della strategia processuale”. Il Tribunale di Bari, nel motivare la sua decisione, non ha ritenuto che “il difetto di coordinamento tra la disciplina sostanziale della messa alla prova e quella di cui al D. Lgs. n. 231/2001 sia l’espressione della scelta del legislatore d’escludere gli enti dall’ambito soggettivo d’applicazione dell’istituto”, in quanto la sua ratio va ricondotta “alle finalità, da un lato, di deflazionare il carico giudiziario e, dall’altro, di perseguire un reinserimento sociale “anticipato” dell’imputato” e l’introduzione del sistema di responsabilità da reato ex d. l.vo 231 risponde appunto “a una logica di prevenzione del crimine, da perseguire proprio attraverso la rieducazione dell’ente”. Non deve poi neppure ritenersi significativa, a detta dei giudici pugliesi, la circostanza che il d. l.vo 231 non menzioni tra i procedimenti speciali nei confronti dell’ente anche la messa alla prova, poiché “essa può essere interpretata nel senso tanto della volontà del legislatore di disporre l’integrale applicazione della disciplina della messa alla prova, tanto più verosimilmente di una mera svista legislativa”. L’ammissibilità dell’ente alla messa alla prova poi “non determinerebbe nemmeno l’elusione dell’art. 17 del D. Lgs. n. 231/2001, atteso che (…) l’ambito di applicazione della norma citata non coincide affatto con quello della messa alla prova. Infatti, l’art. 17 stabilisce un trattamento sanzionatorio più mite nell’ipotesi in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’ente realizzi le condotte riparatorie ivi elencate. Ma la messa alla prova ha un oggetto ben più ampio, contemplando pure l’affidamento al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può comprendere attività di volontariato di rilievo sociale, nonché la prestazione di pubblica utilità” ([13]). Fatte queste premesse, il Tribunale di Bari ha così accolto l’istanza di messa alla prova dell’ente, ritenendola sicuramente “conforme ai principi costituzionali e alla ratio che sorregge la responsabilità della persona giuridica e quella della messa alla prova” ([14]). Sarà sempre compito del giudice di merito accertare, caso per caso, se l’ente offra “reali garanzie” in vista di una sua riorganizzazione virtuosa che permetta di giungere ad un esito positivo della probation ([15]).
[1] 22 giugno 2022, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2022/06/22/responsabilita-degli-enti-ex-d-lgs-231-2001-il-tribunale-di-bari-ammette-una-societa-alla-messa-alla-prova/.
[2] Sul punto V. Drosi, La “rieducazione” dell’ente: dai modelli di giustizia negoziata di common law allo strumento della messa alla prova nel sistema italiano, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2021/06/17/la-rieducazione-dellente-dai-modelli-di-giustizia-negoziata-di-common-law-allo-strumento-della-messa-alla-prova-nel-sistema-italiano-tesi-di-master/. Sul d. l.vo 231, v. per tutti N. Mazzacuva, E. Amati, Diritto penale dell’economia, Milano, 2020, 33 s.; C. Cardinale, Prime note sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, in Diritto & diritti, riv. giur. elettronica, ISSN: 1127-8579, in http://www.diritto.it. Sull’applicabilità del d. l.vo 231 anche alle società unipersonali, v. Trib. Brindisi, 21 febbraio 2022, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2022/06/23/responsabilita-degli-enti-il-tribunale-di-brindisi-si-pronuncia-sulla-applicabilita-del-d-lgs-231-2001-alle-societa-unipersonali/.
[3] M. C. L. La Grassa, Sospensione del procedimento con messa alla prova, in https://www.filodiritto.com/sospensione-del-procedimento-con-messa-alla-prova; A. Larussa, Messa alla prova, in https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2017/04/06/messa-alla-prova; D. Paolanti, Messa alla prova, in https://www.studiocataldi.it/articoli/25623-la-messa-alla-prova.asp; F. Galluzzo, Sospensione del processo e messa alla prova, in https://www.treccani.it/enciclopedia/sospensione-del-processo-e-messa-alla-prova_%28Diritto-on-line%29/; F. Martin, Sospensione del Procedimento con messa alla prova e D. lgs. 231/2001: quale futuro per l’ente?, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2022/07/01/sospensione-del-procedimento-con-messa-alla-prova-e-d-lgs-231-2001-quale-futuro-per-lente/.
[4] Così V. Drosi, cit.
[5] Ord. 27 marzo 2017. V. anche M. Miglio, La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica alle persone giuridiche, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2017/08/27/la-sospensione-del-processo-messa-alla-prova-non-si-applica-alle-persone-giuridiche/.
[6] Sent. 31 marzo 2016, n. 36272. Per le SS.UU. la messa alla prova ha natura ibrida, cioè processuale, trattandosi di un procedimento speciale, e sostanziale, in quanto il lavoro di pubblica utilità è qualificabile come sanzione penale non detentiva. Anche la C. cost., 26 novembre 2015, n. 240 ha riconosciuto all’istituto della messa alla prova tale duplice natura.
[7] Ord. 21 aprile 2021. V. anche V. Drosi, A. Di Prima, Messa alla prova per l’ente: brevi note ad una recente ordinanza del Tribunale di Spoleto, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2021/09/21/messa-alla-prova-per-lente-brevi-note-ad-una-recente-ordinanza-del-tribunale-di-spoleto/.
[8] Ord. 10 dicembre 2020. V. anche L. N. Meazza, Messa alla prova e persone giuridiche: una nuova pronuncia del Tribunale di Bologna, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2020/12/14/messa-alla-prova-e-persone-giuridiche-nuova-pronuncia-del-tribunale-di-bologna/.
[9] C. cost., 27 aprile 2018, n. 91.
[10] Ord. 15 dicembre 2020. V. anche G. Garuti, C. Trabace, Il Tribunale di Modena ancora sull’ammissibilità della persona giuridica al rito della sospensione del procedimento con messa alla prova: una conferma o una retromarche?, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2021/02/04/il-tribunale-di-modena-ancora-sullammissibilita-della-persona-giuridica-al-rito-della-sospensione-del-procedimento-con-messa-alla-prova-una-conferma-o-una-retromarche/.
[11] Ord. 11 dicembre 2019 e sent. 19 ottobre 2020.
[12] G. Garuti, C. Trabace, Qualche nota a margine della esemplare decisione con cui il Tribunale ha ammesso la persona giuridica al probation, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2020/10/25/qualche-nota-a-margine-della-esemplare-decisione-con-cui-il-tribunale-di-modena-ha-ammesso-la-persona-giuridica-al-probation/.
[13] Ricordiamo che ai sensi dell’art. 17 d. l.vo 231 “le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni: a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
- b) l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- c) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.”
[14] Così F. Martin, cit. L’A. ha accolto positivamente la decisione del Tribunale di Bari qui annotata.
[15] V. Drosi, cit. Anche l’A. è favorevole all’estensione dell’istituto in argomento agli enti.